giovedì 29 maggio 2008

MI ASPETTO CHE MI AMI PER CIO' CHE SONO E PER CIO' CHE DIVENTERO'

Il bambino chiamò per la terza volta e lei andò subito.L'editore, rimasto solo, aveva l'aria stanca. La testa gli cadde un poco da una parte, si rizzò, sorrise come di se stesso, poi permise al suo corpo di riafflosciarsi, alla schiena di tornar curva. La donna tornò indietro e gli si fermò davanti. Lui guardò su. Lei gli posò la mano sulla fronte e andò a sederglisi dirimpetto. Egli prese la sua mano, posata sul tavolo, e la baciò. Rimasero a lungo in silenzio.Lei disse: «Devo metterle un po' di musica?»L'editore scosse la testa, ma subito, come se si fosse aspettato la domanda. Tacevano di nuovo. L'editore: «Ma da lei il telefono non suona mai?».La donna: «Negli ultimi giorni quasi più. E d'inverno in genere di rado. Forse suonerà di nuovo in primavera?».Dopo un lungo silenzio, lei disse: «Adesso credo che Stefano si sia addormentato». E poi: «Se lei non fosse diventato per così dire il mio datore di lavoro, oserei farle capire come sono stanca».L'editore: «E a parte questo, la bottiglia è vuota».Si alzò, e lei lo accompagnò alla porta. Egli prese il cappotto ma rimaneva lì su due piedi, a testa china; poi si rizzò. Inaspettatamente lei gli tolse il cappotto di mano e disse: «Beviamoci ancora un bicchiere. Poco fa ho avuto la sensazione che ogni minuto che si è soli ci sfugga qualcosa che non si recupera più. Lei lo sa bene, la morte. Mi perdoni questa parola. In ogni caso, adesso mi ha fatto male. Spero che non mi fraintenda. In cucina c'è ancora una bottiglia di Burgunder. E' un vino pesante, e dopo si dorme bene».Erano in piedi nel soggiorno davanti la finestra e bevevano il vino rosso. Le tende non erano chiuse; guardavano fuori, in giardino, nevicava.L'editore raccontò:
« Poco tempo fa ho lasciato un'amica in un modo così strano che glielo vorrei raccontare. Era notte e viaggiavamo in taxi. Io la cingevo con un braccio e tutti e due guardavamo fuori, dalla stessa parte. Stavamo bene. Deve sapere che si trattava di una ragazza giovanissima, neanche vent'anni, e che io le ero molto attaccato. Ed ecco che di sfuggita, passando, sul marciapiede vidi un uomo che camminava. Non potei afferrare alcun particolare, la strada era troppo buia: vidi soltanto che l'uomo era giovane. E all'improvviso mi immaginai che la ragazza accanto a me, alla vista di quella figura là fuori, si fosse resa conto di stare dentro il taxi abbracciata ad un uomo tanto vecchio e che in quell'istante dovesse per forza provare ribrezzo di me! Questa fantasia fu per me un tale shock che ritirai immediatamente il braccio dalle sue spalle. A dire la verità, proseguii fin da lei, l'accompagnai fin sulla porta di casa, ma qui le dissi che non volevo vederla più. Feci la voce grossa, le intimai di scomparire, che ero stufo di lei, che era finita, e me ne andai di fretta. Sono sicuro che ancora oggi lei non sa perchè io l'abbia lasciata. E' probabile che alla vista del giovanotto sul marciapiede non abbia pensato proprio niente. Forse non l'ha nemmeno notato ».
Vuotò il bicchiere. Ora tacevano e guardavano fuori dalla finestra, e sotto passava di nuovo la vecchia col cane e faceva un cenno di saluto verso l'alto; adesso aveva l'ombrello aperto.L'editore disse: «E' stato bello con lei, Marianne. No, non bello: diverso».Andarono alla porta. L'editore: «Mi permetterò di far suonare qualche volta il suo telefono, anche se siamo ancora in pieno inverno».Sulla porta già aperta, quando lui aveva già addosso il cappotto, lei gli chiese se era venuto con la macchina; la neve turbinava dentro. L'editore: «Con un autista, sì. Mi aspetta in macchina».La donna: «L'ha fatto aspettare così a lungo?».L'editore: «Ci è abituato».La macchina era lì davanti alla porta; dentro c'era l'autista, nella semioscurità. La donna: «Ha dimenticato di darmi il libro che devo tradurre».L'editore: «E' in macchina».Fece un segno all'autista, che portò subito il libro.L'editore lo passò alla donna, che poi chiese: «Allora vuole mettermi alla prova?».L'editore, dopo una pausa: «Ora comincia la lunga stagione della sua solitudine, Marianne».La donna: «Da qualche tempo tutti mi fanno minacce». E all'autista lì accanto: «E lei, mi vuol minacciare anche lei?». L'autista sorrise imbarazzato.Era sola di notte in mezzo al corridoio, col libro in mano; sopra la sua testa le finestre del tetto scricchiolavano per la neve. Essa cominciò a leggere: «Au pays de l'idéal: j'attends d'un homme qu'il m'aime pour ce que je suis et pour ce que je deviendrai». Provò a tradurre: «Nel paese ideale: io da un uomo mi aspetto che mi ami per ciò che sono e per ciò che diventerò». Alzò le spalle.
[ Peter Handke, La Donna Mancina ]

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