lunedì 8 dicembre 2008

IL MITO DI ORFEO

Orfeo ( significa: colui che è solo) era un poeta e un musico. Le Muse gli avevano insegnato a suonare la lira, ricevuta in dono da Apollo.La sua musica e i suoi versi erano così dolci e affascinanti che l'acqua dei torrenti rallentava la sua corsa, i boschi ballavano, gli uccelli, commossi, non avevano la forza di volare e cadevano, le ninfe uscivano dalle querce e le belve dalle loro tane per ascoltarlo.
Euridice era una ninfa e sua sposa.Un giorno, mentre correva per sfuggire alle insidie di Aristeo, venne morsa da un serpente e morì. Orfeo, profondamente innamorato, decise di scendere nell'Ade, l'oscuro regno dei morti, a riprendersela.Con la sua poesia e la sua musica riuscì a commuovere tutti:Caronte lo traghettò sull'altra riva dello Stige, il fiume infernale;Cerbero, l'orribile cane con tre teste, non abbaiò;Le Erinni, terribili dee infernali, piansero;I dannati cessarono i loro tormenti... e persino il dio Ade e sua moglie Persefone s'inchinarono al canto d'amore e concessero ad Orfeo di riportare Euridice con sé, ma a un patto:
Euridice avrebbe dovuto seguire Orfeo lungo la strada buia degli inferi, senza che lui si voltasse a guardarla, non prima di essere giunti nel mondo dei vivi.Iniziarono la salita.Avanti era Orfeo, lo seguiva Euridice e infine Hermes, che doveva controllare.Erano ormai giunti alla meta, quando Orfeo, temendo di averla persa e preso dal forte desiderio di vederla, si voltò.Così Euridice fu risucchiata nell'Ade ed inutile fu, per Orfeo, cercare d'afferrargli le mani nel tentativo di trattenerla.Così, Euridice, morì per la seconda volta.
Orfeo rifiutò in seguito l'amore di tutte le femmine. Poiché la sua musica distoglieva i mariti dai doveri coniugali, dovette subire la vendetta delle donne che fu attuata per mano delle Menadi, sacerdotesse di Dionisio. Lo uccisero, lo fecero a pezzi e lo gettarono nel fiume Ebro.Orfeo non morì del tutto e la sua testa, pur separata dal corpo, continuerà a cantare per sempre.
L’amore è vita, per questo Orfeo scende nell’Ade a riprendersi Euridice.Ottiene questa possibilità alla condizione di non voltarsi a guardarla prima che abbiano raggiunto il regno dei vivi.Questo patto, questa richiesta apparentemente così semplice, è in realtà, impossibile da rispettare.Orfeo ama e può amare solo a condizione di conoscere.E’ costretto a voltarsi a guardare Euridice dall’amare stesso.Nessuno, infatti, può scindere l'amore dalla conoscenza.E' una contraddizione conoscere senza amare, così come è pazzia amare senza vivere.
Amare non è un dato acquisito una volta per tutte. Amare necessita di conferme, ad ogni istante... di qui il bisogno ineludibile, per Orfeo, di voltarsi… per capire se era amato.Secondo il mito, non avrebbe potuto mai riavere Euridice, un Orfeo innamorato...ma è anche impossibile amare una persona se questa non vive.Euridice avrebbe potuto salvare entrambi, parlando, ( non era proibito) per attestare la sua presenza.
La traduzione è di un premio Nobel italiano, Salvatore Quasimodo

"Mentre fuggiva da te a precipizio lungo il fiume,
non vide, la fanciulla già segnata da morte,
nell’alta erba, il serpente che abita le rive.
E il coro delle compagne Driadi riempì di lamenti
I monti più elevati; e piansero le vette del Ròdope
E gli alti Pangei e la terra guerriera di Reso,
e piansero i Geti e l’Ebro e l’attica Oritia.
E consolando con la cetra l’amore perduto,
te dolce sposa, te sul lido deserto,
te al nascere, te al morire del giorno, egli cantava.
Ed entrò pure nelle gole del Tanaro, profonda
Porta di Dite, e nella selva cupa di nera paura,
e s’accostò ai Mani, e al loro re tremendo,
e a chi non sa addolcirsi alle preghiere umane.
E subito dal più profondo Erebo, commosse al canto,
ombre venivano leggere e parvenze di morti:
a migliaia, quasi stormi di uccelli che si posano
tra le foglie, quando la sera o l’aspra pioggia d’inverno
li caccia giù dai monti; donne e uomini, e corpi
di magnanimi eroi morti, e fanciulli e fanciulle,
e giovani arsi sul rogo davanti ai genitori.
E ora il fango nero e la squallida canna del Cocito,
e la palude lurida con la sua acqua pigra
li stringe d’intorno, e lo Stige con nove giri li rinserra.
Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti
del Tartaro, e le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi;
e Cerbero restò muto con le tre bocche aperte,
e la ruota d’Issione si fermò insieme al vento.
E già Orfeo tornava, vinto ogni pericolo,
ed Euridice veniva verso la luce del cielo
seguendolo alle spalle (così impose Proserpina),
quando una follia improvvisa lo travolse,
da perdonare, certo, se i Mani sapessero perdonare.
Orfeo già presso la luce, vinto d’amore,
la sua Euridice si voltò a guardare.
Così fu rotta la legge del duro tiranno,
e tre volte un fragore s’udì per le paludi d’Averno.
“Quale follia” ella disse, “rovinò me infelice,
e te, Orfeo? Il fato avverso mi richiama indietro,
e il sonno della morte mi chiude gli occhi confusi.
E ora, addio: sono trascinata dentro profonda notte,
e non più tua, tendo a te le mani inerti”.
Disse; e d’improvviso svanì come fumo nell’aria
leggera, e non vide più lui che molte cose
voleva dirle e che invano abbracciava le ombre;
ma chi traghetta le acque dell’Orco
non gli permise più di passare di là dalla palude".

(Virgilio, Orfeo ed Euridice - Georgiche) traduzione di Salvatore Quasimodo

1 commento:

amber ha detto...

Condivido il concetto di "mito terapeutico", tanto che ho intitolato "Per una terapia del mito" una serie di schede pubblicate sul sito www.dettaglitv.com