venerdì 19 dicembre 2008

L'UOMO DELLA CAVERNA

Immagina degli uomini prigionieri e chiusi nelle profondità di una caverna, gambe e collo incatenati fin dall'infanzia, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un enorme fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno, sono portati ad interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre. Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo. Con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che « è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano ». Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna per mettere al corrente e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento ed, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte. L'uomo liberato non potrà ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.

Platone, libro VII, 516 c – d

Nessun commento: