sabato 9 agosto 2008

IL MAGO E LA BAMBOLA

In un angolo nascosto di un’antica e frenetica città resisteva una bottega. Una di quelle che non si sa bene come facciano a tirare avanti, giorno dopo giorno, dove il tempo deposita testimonianze polverose del passato, frammenti di vite che altrimenti non si sarebbero sfiorate mai. Uno di quei posti dove è piacevole entrare quando il sole, per le strade, brucia, dove l’ombra è preziosa e profumata e granelli di polline venuto da chissà dove danzano nell’unico raggio di luce che entra di sbieco e fa da meridiana. Tra teiere finto vittoriane, specchi d’argento anneriti e cartoline color seppia, sedeva in vetrina da tempo lunghissimo una bambola. Abiti e merletti di un’infanzia antica facevano contrasto con le labbra laccate color sangue e gli occhi tristi e fissi, le mani aperte e protese verso un’immaginaria madre e un’ombra ben distribuita di polvere sugli improbabili fiori del cappello di paglia. Aveva un’anima. E si chiedeva, lei, la bambola, quanto ancora sarebbe rimasta a guardar le mode correre e cambiare, la gente trafelata stringersi nelle giacche e nella quotidianità, quanti amanti ancora avrebbe spiato baciarsi nel vicolo, prima che qualcuno si innamorasse di lei, e la portasse via. E una mattina la serranda non si alzò, e il mondo non apparve. Il negozio fu messo in vendita per mancanza di eredi, e con esso tutto il suo contenuto, senza alcun prezzo aggiuntivo. La bambola, seduta al centro di un buio innaturale, non mutò mai posizione, rimase ferma ad ascoltare la vita fuori scorrere, ed imparò a riconoscere suoni e profumi filtrati, e continuò a sognare. Ma un mattino che era già primavera, come si scoprì in seguito, qualcuno entrò, certamente il nuovo proprietario. Il Mago, perché di un Mago si trattava, strizzò gli occhi feriti dal sole cercando di abituarsi all’oscurità fresca del locale, fece pochi passi avanti e si fermò a soppesare l’entità e l’effettivo valore del suo acquisto. Aveva occhi bellissimi, cristalli di neve azzurra, e un velo di passato sui capelli, e niente tra le mani, tranne la sua magia. Si accorse quasi subito della bambola. Sorrise di un sorriso che poteva soltanto appartenere a lui, si chinò a sfiorare il velluto del vestito tarlato e disse: “qui ci vuole proprio un po’ d’aria pulita, diamoci da fare”. E fu così che la bambola ascoltò per la prima volta la voce del Mago, e se ne innamorò. Arrivava ogni mattina portando con sé l’odore del pane fresco e del risveglio, spalancava la porta e cominciava l’opera di trasformazione del negozio. Apriva cassetti apparentemente chiusi a chiave da sempre, traendone oggetti luminosi e strani libri che la bambola non ricordava mai di aver visto tra gli articoli in vendita, con estrema delicatezza puliva ogni angolo e suppellettile, e intanto parlava. Raccontava alla bambola storie di paesi lontanissimi, di uomini dalla pelle ambrata e l’indole gentile. Le descriveva isole nate dal mare per incanto e spiagge affollate da venditori di fiori tropicali, e viaggi in mongolfiera, e storie di boschi e ninfe, e colori e suoni dei deserti africani, e lo faceva con quella sua voce bassa e musicale, ipnotica e danzante. La bambola, senza mai mutare d’espressione, di quella voce si nutriva, e percorreva strade e mondi che non sapeva neppure esistessero e giorno dopo giorno, cambiava. La porcellana diafana di cui era fatta, impercettibilmente mutava consistenza e densità, la stoppa dei capelli si faceva brillante, gli occhi acquistavano liquide movenze. La pelle divenne pelle finalmente, venandosi d’azzurro, prima accennato e poi pulsante, la stoffa del vestito cominciò a tendersi nella pienezza di un seno accogliente. Il Mago le parlava ed ogni sillaba nasceva per dar vita alla bambola che intanto cambiava e diventava infine donna, ancora immobile, ancora bambola, eppure donna. Cullata dal canto del Mago si abbandonava all’amore in quella sua ormai assurda fissità. E un giorno lui disse: “E’ tutto a posto ormai. E’ tutto pronto”. La donna che era stata di porcellana sentì la voce finalmente a un passo da lei e il fiato del Mago si posò sulle sue labbra ormai morbide e vive e fu quello il primo, vero respiro della bambola.
(dal web)

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