In una giornata d'inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po' di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d'avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate «maddalenine».
Ed ecco, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di «maddalena» quella della conchiglietta di pasta , con la sua veste a pieghe. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, Avevo cessato di sentirmi mediocre. Da dove m'era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava
Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?
E ad un tratto il ricordo m'è apparso.
Quel sapore era quello del pezzetto di «maddalena» che la domenica mattina , quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio.
La virtù della bevanda sembra diminuire. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo.
…….l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, portando, l'immenso edificio del ricordo.
Chiedo al mio animo ancora uno sforzo, gli chiedo di ricondurmi di nuovo la sensazione che fugge.
…… allontano ogni ostacolo, ogni pensiero estraneo, mi difendo l'udito e l'attenzione dai rumori della stanza accanto.
Marcel Proust
Blog della rete dei siti www.maldamore.it e www.iltuopsicologo.it inerenti le favole, le novelle, i racconti e le storie di ogni dove e di ogni paese che possono avere valenze... terapeutiche
lunedì 16 novembre 2009
NON SAPPIAMO MAI SE UNA COSA SIA BENE O MALE PER NOI
“Un giorno Akbar e Birbal andarono a caccia nella selva. Sparando col suo fucile, Akbar si ferì il pollice e gridò di dolore. Birbal gli fasciò il dito e lo consolò con le sue riflessioni filosofiche: “Maestà, non sappiamo mai ciò che è bene o è male per noi”. L’imperatore si infuriò e scaraventò il ministro nel fondo di un pozzo abbandonato. Poi continuò a camminare solo per il bosco. Frattanto un gruppo di selvaggi gli venne incontro in piena selva, lo attorniò, lo fece prigioniero e lo trascinò davanti al suo capo. La tribù stava preparandosi ad offrire un sacrificio umano e Akbar fu accolto come la vittima che Dio aveva loro inviato. Lo stregone della tribù lo esaminò attentamente e notando che aveva un pollice rotto, lo respinse perché la vittima prescelta non doveva avere nessun difetto. Allora Akbar si rese conto che Birbal aveva avuto ragione, provò rimorso per il suo gesto inconsulto, tornò correndo al pozzo nel quale lo aveva gettato, lo trasse fuori e gli chiese perdono per il male che, tanto ingiustamente, gli aveva causato. Birbal rispose. “Maestà, non deve chiedermi perdono, perché non mi ha fatto alcun male. Al contrario, mi ha fatto un grande favore: mi ha salvato la vita. Infatti, se non mi avesse scaraventato in questo pozzo, io avrei continuato a camminare al suo fianco e questi selvaggi avrebbero preso me per il loro sacrificio. Come vede, Maestà, non sappiamo mai se una cosa sia bene o male per noi ”
SI AMA QUALCUNO COS'I' COM'E'
Jules ebbe degli echi dei loro attriti. Raccontò loro una storia indù:
«Due amanti provavano i tormenti dell'amore e della gelosia. Conobbero insieme la più grande felicità, e la sciuparono. Molte volte si separarono e si ritrovarono, più innamorati di prima. Ma ognuno fece soffrire l'altro. Si lasciarono per sempre. Qualche anno dopo lui, col cuore spezzato, volle rivederla prima di morire. La cercò, viaggiò, pensando che, dovunque lei fosse, la sua bellezza l'avrebbe resa famosa. La ritrovò vedétte di una di una compagnia di danzatrici che conducevano un'esistenza frivola. Le andò incontro, la guardò, e non trovava niente da dirle, e le lacrime gli scendevano dagli occhi. Seguì la compagnia, e contemplava l'amica che ballava e sorrideva per gli altri. Non c'era rimprovero in lui, e non desiderava da lei che il permesso di guardarla. "Finalmente mi ami davvero!" gli disse lei».
Jules disse a Kathe:
«La tua massima è questa: in una coppia bisogna che almeno uno dei due sia fedele: l'altro».
Disse pure:
«Se si ama qualcuno, lo si ama così com'è. Non si desidera influenzarlo, perchè, se ci si riuscisse, non sarebbe più lui. Meglio rinunciare all'essere che si ama che cercare di modificarlo con la pietà o la tirannia».
Jim avrebbe voluto morire di Kathe. Sopravvivere era un'offesa. I ragni maschi lo sanno, e anche le loro femmine.
da Jules et Jim - Francois Truffaut –
«Due amanti provavano i tormenti dell'amore e della gelosia. Conobbero insieme la più grande felicità, e la sciuparono. Molte volte si separarono e si ritrovarono, più innamorati di prima. Ma ognuno fece soffrire l'altro. Si lasciarono per sempre. Qualche anno dopo lui, col cuore spezzato, volle rivederla prima di morire. La cercò, viaggiò, pensando che, dovunque lei fosse, la sua bellezza l'avrebbe resa famosa. La ritrovò vedétte di una di una compagnia di danzatrici che conducevano un'esistenza frivola. Le andò incontro, la guardò, e non trovava niente da dirle, e le lacrime gli scendevano dagli occhi. Seguì la compagnia, e contemplava l'amica che ballava e sorrideva per gli altri. Non c'era rimprovero in lui, e non desiderava da lei che il permesso di guardarla. "Finalmente mi ami davvero!" gli disse lei».
Jules disse a Kathe:
«La tua massima è questa: in una coppia bisogna che almeno uno dei due sia fedele: l'altro».
Disse pure:
«Se si ama qualcuno, lo si ama così com'è. Non si desidera influenzarlo, perchè, se ci si riuscisse, non sarebbe più lui. Meglio rinunciare all'essere che si ama che cercare di modificarlo con la pietà o la tirannia».
Jim avrebbe voluto morire di Kathe. Sopravvivere era un'offesa. I ragni maschi lo sanno, e anche le loro femmine.
da Jules et Jim - Francois Truffaut –
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