sabato 9 agosto 2008

LA LUCE ED IL DIALOGO

Il serpente aveva appena guardato quella venerabile immagine quando il re prese a parlare e domandò: «Da dove vieni?». «Dai crepacci in cui abita l'oro» rispose il serpente. «Che cosa è più stupendo dell'oro?» domandò il re. «La luce» rispose il serpente. «Che cosa è più vivificante della luce?» domandò il primo. «Il dialogo» rispose il secondo. W. Goethe [Favola]

FAR DURARE UN AMORE

Una mamma e un bambino stanno camminando sulla spiaggia.Ad un certo punto il bambino chiede: "Come si fa a mantenere un amore?"La mamma guarda il figlio e poi gli risponde: "Raccogli un po' di sabbia e stringi il pugno..."Il bambino stringe la mano attorno alla sabbia e vede che più stringe piu' la sabbia gli esce dalla mano. "Mamma, ma la sabbia scappa!!!""Lo so, ora tieni la mano completamente aperta... "Il bambino ubbidisce, ma una folata di vento porta via la sabbia rimanente."Anche cosi' non riesco a tenerla!"La mamma sempre sorridendo: "Adesso raccogline un altro po' e tienila nella mano aperta come se fosse un cucchiaio...abbastanza chiusa per custodirla e abbastanza aperta per la liberta' "."Il bambino riprova e la sabbia non sfugge dalla mano ed e' protetta dal vento."Ecco come far durare un amore..."(Anonimo)

IL CUORE DELL'UOMO

Un giorno Dio si stancò degli uomini a causa delle loro continue richieste, spesso molto futili. Prese, conseguentemente, la decisione di nascondersi per un pò di tempo. Chiamò tutti i suoi Angeli consiglieri e chiese loro: "Dove mi debbo nascondere per non essere trovato? Qual'è il luogo migliore?" Gli Angeli consiglieri suggerivano i luoghi più disparati. Chi suggeriva la montagna più alta, chi l'abisso del mare più profondo, chi lo spazio celeste più remoto. Non contento dei luoghi suggeritigli chiese all'Angelo consigliere più anziano, che ancora non si era pronunciato: "Tu dove mi consigli di nascondermi?" L'Angelo anziano, sorridendo, rispose: "Nasconditi nel cuore dell'uomo! E' l'unico posto dove essi non vanno a vedere!"

DELUSIONE E SAGGEZZA

"Mi hai detto che sei stata spesso delusa" disse Nules ad un certo punto, "cosa ti ha delusa, mia cara?"
"Io non sono una ragazzetta, vedi bene, mio saggio principe, ma la vita trascorsa lungo le strade del mondo mi ha permesso di scrutare nell'animo umano, di vederne tutta la bellezza, la soavità, l'amore racchiuso, ma troppo spesso ho visto questi buoni sentimenti schiacciati dall'egoismo, dalla crudeltà, dall'ignoranza, e non ho imparato a rassegnarmi. Il mio cuore piange per un nonnulla. Non posso sentire una parola sgarbata, non posso sentire l'indifferenza che troppo spesso attanaglia l'uomo! Piango, mio caro Nules, quando una mano si tende ad invocare aiuto, e dall'altra parte c'è solo uno sguardo che evita di guardare, che non vuole vedere"

"Questa è la vita, piccola Arlina. Ogni uomo ha in sé il mondo intero, con tutte le sue grandezze e le sue miserie, con la sua bontà e le cattiverie!"

"Non lo accetto, mio principe, non voglio, non posso".

Arlina muoveva le mani , le stringeva a pugno e le apriva, le attorcigliava torturandole; era in preda ad una forte emozione e gli occhi s'erano riempiti di lacrime mentre la voce di andava incrinando.

"Non piangere, mia cara. Col tempo capirai che non possiamo cambiare l'uomo, che la sua bellezza sta proprio nella sua mutevolezza, nella sua possibilità di scegliere fra il bene e il male, ed anche quando sceglie il male è pur sempre un uomo, ma ci vuol tempo per capire. Tu sei ancora una piccola colomba ma un po' alla volta spunteranno anche a te artigli d'aquila, allora imparerai a perdonare chi sbaglia, perché anche tu sbaglierai".

"No, Nules, io non avrò mai artigli, né rostro, né voce di drago. Non potrei più viaggiare nel mondo con quel pesante fardello".

Il principe la guardava con occhi dolci. Anche lui era stato un ragazzo ed aveva sognato un uomo diverso, e aveva sofferto e penato, e pianto, ma gli anni gli avevano insegnato la tolleranza e quando aveva imparato a riconoscere e ad accettare le sue cattiverie e debolezze aveva trovato finalmente la serenità, ma non bastavano le parole per spiegare tutto questo ad un giovane cuore. Doveva trascorrere il tempo.
da: "Arlina e il regno fra i monti"

IL FALCHETTO ED IL VOLO

C'era una volta un falchetto convinto di saper volare, era nato in un piccolo allevamento caduto in rovina, per alcuni anni aveva vissuto con le altri falchetti addestrati da un bravissimo falconiere, in una piccola voliera poco fuori citta'. Tutti i falchi della voliera lo guardavano in modo strano, inutilmente, il povero falconiere aveva tentato di addestrarla, ma non era riuscito a piegarne l'indole, ed alla fine aveva desistito, era il suo ultimo esemplare e sfortuna aveva voluto che quell'ultimo addestramento fosse coinciso con il suo primo fallimento, ed all'inizio della sua sfortuna. Le altre bestiole dicevano che il falchetto non sapeva volare, questo perche' ogni volta che il povero falconiere lo portava assieme agli altri falchi per qualche esibizione, assicurandosi la zampetta alla cintola, una volta tolto il cappuccio, il falchetto rimaneva immobile sul suo braccio. Ah, si commiserava il falchetto, ricordava troppo bene la sensazione provata quando aveva spiccato il suo primo volo, il dolore provato nell'avere a disposizione tanto cielo, e dopo pochi colpi d'ala la delusione di essersi sentito richiamato a terra dal tendersi del filo, sentirsi prigioniero senza nessun confine da dover valicare, ed allora aveva deciso di non volare, nonostante le punizioni del falconiere, nonostante il suo urlare, nono stante le privazioni, non avrebbe accettato un'imitazione di liberta' condizionata al suo volere, non avrebbe mai accettato di tornare indietro al suo fischio pur avendo voglia di andare, non era volare quello, se ne infischiava di quello che dicevano gli altri falchi, che ne sapevano loro? Tutti intenti a guardare all'interno della voliera e a litigarsi i bocconi piu' buoni facendo inutili moine. Il caso volle che il falconiere assillato dai debiti vendette in blocco tutte le bestiole allo zoo della sua citta'. Fu cosi' che tutti i falchi furono immessi nell'immensa voliera insieme a tutti gli altri rapaci, il nostro falco scelse l'appoggio piu' vicino alla rete della voliera e rimase li' fermo, gli altri lo canzonavano motivando la sua immobilita' con il timore che il falco aveva per il volo, aggiungendo che ora era chiara e lampante a tutti la sua incapacita' al volo, che ora non c'era' nessuno a imporgli come volare, ora era libero, le sue eran tutte scuse. Lui rispondeva che quella era solo una gabbia piu' grande e che fuori di la' ce ne sarebbe stata un'altra ancora piu' grande, cosi' fino al confine del cielo, e che quindi non valeva la pena di darsi da fare per volare in cerchio stretti in maglie d'acciaio, per quanto potesse esser grande la voliera, non sarebbe mai stata grande abbastanza e non valeva la pena di volare per fuggire ad ogni ingresso del custode, oltre quella gabbia ce ne sarebbe stata un'altra, e poi un'altra... e allora perche' volare? Finche' un giorno passo di la' un falco, si poso' sulla rete e disse: " Ehi che fai la ' fermo perche' non voli? " e il falchetto racconto' la sua storia, ed il falco ascolto' attento alla fine aggiunse: "E tu in tutti questi anni perche' non sei fuggito per trovare i confini del cielo, per veder oltre l'ultima gabbia cosa c'e'?" Allora il falchetto ammise: "Non l'ho fatto perche' ho paura che quel che potrei trovare." Allora il falco aggiunse: " Allora il tuo confine è nel tuo cuore, finche' non troverai il coraggio di passare quel confine, non ha senso che tu lasci questa gabbia." Detto questo riprese il suo volo. Fu cosi' che un giorno, sul fondo della voliera, venne trovato il corpicino del falchetto, che in un'atto d'estremo coraggio aveva reciso la sua catena, fermando cio' che gli impediva di volare.
Morale: A volte siamo abili costruttori di gabbie che utilizziamo per difenderci dai sogni e dalla possibilita' di realizzarli...

(dal web)

IL VERO AMORE E' ACCETTAZIONE

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantinadi anni arrivó per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice.Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9:00.Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltreun'ora prima che qualcuno potesse vederlo.Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento chenon avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io dellaferita.Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere glistrumenti necessari per rimuovere la sutura erimedicargli la ferita.Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altroappuntamento medico dato che aveva tantafretta.L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per farcolazione con sua moglie.Mi informai della sua salute e lui mi raccontó che era affetta da tempodall'Alzheimer.Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po'tardi.Lui mi rispose che lei non lo riconosceva giá da 5 anni.Ne fui sorpreso, e gli chiesi 'E va ancora ogni mattina a trovarla anche senon sa chi é lei'?L'uomo sorrise e mi batté la mano sulla spalla dicendo: ''Lei non sa chisono, ma io so ancora perfettamente chi él ei"Dovetti trattenere le lacrime...Avevo la pelle d'oca e pensai: 'Questo é ilgenere di amore che voglio nella mia vita".Il vero amore non é né fisico né romantico. Il vero amore é l'accettazionedi tutto ció che é, é stato, sará e non sará.Le persone piú felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ció che hanno.

SOCRATE ED I SANDALI

Una volta i discepoli del grande filosofo Socrate fecero una colletta per compragli un paio di sandali nuovi, perché tutte le mattine Socrate andava al mercato con un paio di vecchi sandali.

Poi gli dissero:

- Maestro, accetta queste monete per comprarti un paio di nuovi sandali per andare al mercato. Quello che hai sono vecchi e rotti. Tu non ci chiedi niente per i tuoi insegnamenti, perciò accetta questa forma di gratitudine.
-
Socrate rispose:

- Io sono contentissimo di voi e dei miei vecchi sandali. Vado tutte le mattine al mercato per vedere quante cose si vendono e di cui non ho bisogno.

Per i discepoli fu una grande Lezione.

Quante volte si soffre per avere una cosa di cui non si ha bisogno.....
dal web

IMPOSSIBILI VOLI

Un giorno provai ad alzarmi in volo, provai l'ebrezza di lanciarmi nel vuoto, provai a sfidare le leggi della gravità, studiai e sperimentai tecniche nuove e cercai i luoghi e le correnti giuste ... ma le mie ali , al pari di quelle di Icaro, si sciolsero quando stavo per toccare il sole ....
Precipitai ... tentai di planare ma ... il mio atterraggio di fortuna riuscì a metà. Ora l'infinita gioia che pervase il mio cuore ha lasciato il posto al dolore e , quasi incapace di muovermi, sto pensando a dove ho sbagliato. Ripasso mille volte con la mente ogni istante, ogni secondo di quell'indimenticabile volo.
Forse ora è meglio che la smetta di ingannarmi. Forse ora è tempo che comprenda che le mie ali non mi porteranno mai più da nessuna parte. Forse è giunto il momento che capisca che queste ali, costruite con tanta pazienza ed infinito amore sono diventate inservibili. Queste ali, che mi hanno permesso di toccare il cielo sono diventate ormai solo un peso. Forse è giunta l'ora che mi rialzi e ricominci a camminare. Questa volta con i piedi ben saldi a terra. Dimenticando impossibili voli .
Evitando di guardare in alto ... evitando di guardare il sole e le stelle...
(anonimo)

UCCELLO IN GABBIA

A primavera un uccello in gabbia sa bene che c'è qualcosa a cui potrebbe servire, sente benissimo che ci sarebbe qualcosa da fare, ma non ci può far nulla, e cos'è questo? Non si ricorda bene, ha idee vaghe e dice: "Gli altri fanno i loro nidi e portano fuori i loro piccoli e li cibano" e poi sbatte il suo capino contro le grate della gabbia. Ma la gabbia resiste e l'uccello impazzisce dal dolore. "Guarda che fannullone", dice un altro uccello che passa là davanti, "quello è un tipo che vive di rendita''. Eppure il prigioniero continua a campare, non muore, fuori non appare nulla di quel che ha dentro, è in buona salute, e di tanto in tanto è allegro sotto i raggi del sole. Ma poi viene il tempo degli amori. Ondate di depressione. "Ma ha poi proprio tutto quel di cui ha bisogno?'' dicono i bambini che si prendono cura di lui e della sua gabbietta. E lui sta appollaiato con lo sguardo proteso verso il cielo, dove sta minacciando un temporale, e dentro di sè sente ribellione per la sua sorte. "Me ne sto in gabbia, me ne sto in gabbia, e non mi manca niente, imbecilli! Ho tutto ciò di cui ho bisogno! Ma per piacere, libertà, lasciatemi essere un uccello come gli altri!". Cosi, talvolta, una donna che non fa nulla assomiglia a un uccello che non fa nulla....
(Vincent Van Gogh)

LA PERSEVERANZA E LA TIGRE

Che cosa dovete fare se vi accorgete di non ottenere i risultati desiderati nella conquista? Perseverate nel comportamento giusto, perché alla fine produrrà frutti superiori alle vostre aspettative. “La pazienza è amara, ma dà un frutto dolce”, disse una volta Rousseau.
Un’antica favola coreana narra di una giovane sposa il cui marito tornò a casa dopo aver combattuto in guerra alcuni anni. Dopo il ritorno dalla guerra, l’uomo sembrava distaccato dalla vita e da lei; quando la moglie gli parlava, la ignorava, e quando le rivolgeva la parola era sempre con un tono di voce aspro. Andava in collera quando il cibo preparato dalla moglie non era esattamente di suo gradimento, e spesso lei lo sorprendeva a guardare nel vuoto con aria apatica e sofferente.
La donna si rivolse a un vecchio saggio, chiedendogli aiuto. Gli domandò se esisteva una pozione che facesse ridiventare suo marito l’uomo amorevole che era sempre stato. Il vecchio saggio le disse che prima era necessario procurarsi un pelo dei baffi di una tigre viva, che era l’ingrediente principale di quella pozione. La giovane donna era terribilmente spaventata alla prospettiva di tentare di procurarsi un baffo di tigre, ma l’amore per il marito e il desiderio che i loro rapporti tornassero quelli di un tempo la spinsero a tentare la ricerca dell’ingrediente necessario.
Di notte, mentre il marito dormiva, ignaro delle sue attività, scese dal letto per raggiungere a piedi una montagna vicina dov’era risaputo che vivesse una tigre. Lassù, munita solo di una ciotola di riso con sugo di carne, offrì il cibo alla tigre e la invocò in lacrime, supplicandola di avvicinarsi a mangiare. Da principio la tigre si limitò a ignorare i suoi richiami; ma la donna insistette, una notte dopo l’altra, avvicinandosi ogni volta di qualche passo.
Infine una notte erano a pochi passi di distanza l’uno dall’altra e rimasero a guardarsi negli occhi, senza che nessuno dei due sapesse che cosa riservava il futuro. Finalmente la giovane donna coraggiosa si ritirò davanti alla tigre. La notte successiva, la tigre mangiò dalla sua mano. La giovane donna era esultante ma cauta. Nei mesi successivi, ogni notte, non fece null’altro che tendere la mano ad ogni visita, per lasciare che la tigre si sfamasse.
Parecchio tempo dopo, una notte, la giovane donna guardò in fondo agli occhi della tigre che mangiava dalla sua mano e disse: “Oh, ti prego, prezioso animale, non uccidermi per quello che sto per fare!”. Poi, fulminea, strappò dal muso della tigre un pelo dei baffi.
Scese di corsa lungo il sentiero per recarsi subito all’abitazione del vecchio saggio, sollevata all’idea che la tigre le avesse permesso di allontanarsi liberamente. Quando arrivò, ansimante ed eccitata, il vecchio saggio, esaminò attentamente il pelo per controllare che fosse autentico. Quando se ne fu accertato, si girò e lo gettò nel fuoco, sotto gli occhi inorriditi della giovane donna. “Che cosa fai?” gridò lei.
Il vecchio saggio rispose con dolcezza: “Donna, un uomo è forse più crudele di una tigre? Hai visto che grazie alla pazienza, alla gentilezza e alla comprensione, si può domare persino una bestia feroce e selvaggia. Senza dubbio puoi ottenere lo stesso risultato con tuo marito”.

IL MAGO E LA BAMBOLA

In un angolo nascosto di un’antica e frenetica città resisteva una bottega. Una di quelle che non si sa bene come facciano a tirare avanti, giorno dopo giorno, dove il tempo deposita testimonianze polverose del passato, frammenti di vite che altrimenti non si sarebbero sfiorate mai. Uno di quei posti dove è piacevole entrare quando il sole, per le strade, brucia, dove l’ombra è preziosa e profumata e granelli di polline venuto da chissà dove danzano nell’unico raggio di luce che entra di sbieco e fa da meridiana. Tra teiere finto vittoriane, specchi d’argento anneriti e cartoline color seppia, sedeva in vetrina da tempo lunghissimo una bambola. Abiti e merletti di un’infanzia antica facevano contrasto con le labbra laccate color sangue e gli occhi tristi e fissi, le mani aperte e protese verso un’immaginaria madre e un’ombra ben distribuita di polvere sugli improbabili fiori del cappello di paglia. Aveva un’anima. E si chiedeva, lei, la bambola, quanto ancora sarebbe rimasta a guardar le mode correre e cambiare, la gente trafelata stringersi nelle giacche e nella quotidianità, quanti amanti ancora avrebbe spiato baciarsi nel vicolo, prima che qualcuno si innamorasse di lei, e la portasse via. E una mattina la serranda non si alzò, e il mondo non apparve. Il negozio fu messo in vendita per mancanza di eredi, e con esso tutto il suo contenuto, senza alcun prezzo aggiuntivo. La bambola, seduta al centro di un buio innaturale, non mutò mai posizione, rimase ferma ad ascoltare la vita fuori scorrere, ed imparò a riconoscere suoni e profumi filtrati, e continuò a sognare. Ma un mattino che era già primavera, come si scoprì in seguito, qualcuno entrò, certamente il nuovo proprietario. Il Mago, perché di un Mago si trattava, strizzò gli occhi feriti dal sole cercando di abituarsi all’oscurità fresca del locale, fece pochi passi avanti e si fermò a soppesare l’entità e l’effettivo valore del suo acquisto. Aveva occhi bellissimi, cristalli di neve azzurra, e un velo di passato sui capelli, e niente tra le mani, tranne la sua magia. Si accorse quasi subito della bambola. Sorrise di un sorriso che poteva soltanto appartenere a lui, si chinò a sfiorare il velluto del vestito tarlato e disse: “qui ci vuole proprio un po’ d’aria pulita, diamoci da fare”. E fu così che la bambola ascoltò per la prima volta la voce del Mago, e se ne innamorò. Arrivava ogni mattina portando con sé l’odore del pane fresco e del risveglio, spalancava la porta e cominciava l’opera di trasformazione del negozio. Apriva cassetti apparentemente chiusi a chiave da sempre, traendone oggetti luminosi e strani libri che la bambola non ricordava mai di aver visto tra gli articoli in vendita, con estrema delicatezza puliva ogni angolo e suppellettile, e intanto parlava. Raccontava alla bambola storie di paesi lontanissimi, di uomini dalla pelle ambrata e l’indole gentile. Le descriveva isole nate dal mare per incanto e spiagge affollate da venditori di fiori tropicali, e viaggi in mongolfiera, e storie di boschi e ninfe, e colori e suoni dei deserti africani, e lo faceva con quella sua voce bassa e musicale, ipnotica e danzante. La bambola, senza mai mutare d’espressione, di quella voce si nutriva, e percorreva strade e mondi che non sapeva neppure esistessero e giorno dopo giorno, cambiava. La porcellana diafana di cui era fatta, impercettibilmente mutava consistenza e densità, la stoppa dei capelli si faceva brillante, gli occhi acquistavano liquide movenze. La pelle divenne pelle finalmente, venandosi d’azzurro, prima accennato e poi pulsante, la stoffa del vestito cominciò a tendersi nella pienezza di un seno accogliente. Il Mago le parlava ed ogni sillaba nasceva per dar vita alla bambola che intanto cambiava e diventava infine donna, ancora immobile, ancora bambola, eppure donna. Cullata dal canto del Mago si abbandonava all’amore in quella sua ormai assurda fissità. E un giorno lui disse: “E’ tutto a posto ormai. E’ tutto pronto”. La donna che era stata di porcellana sentì la voce finalmente a un passo da lei e il fiato del Mago si posò sulle sue labbra ormai morbide e vive e fu quello il primo, vero respiro della bambola.
(dal web)

venerdì 8 agosto 2008

IL PASSEROTTO E L'AMORE

Ha detto che ballerà con me se le porterò delle rose rosse – si lamentava il giovane Studente – ma in tutto il mio giardino non c’è una sola rosa rossa. Dal suo nido lo ascoltò il passerotto, e si meravigliò: - Non ho una rosa rossa in tutto il mio giardino! – si lamentava lo Studente, e i suoi begli occhi erano pieni di lacrime. - Ah, da qual sciocchezze dipende la felicità! Ho letto gli scritti di tutti i sapienti, conosco tutti i segreti della filosofia, ciononostante la mancanza di una rosa rossa sconvolge la mia vita! - Ecco finalmente un vero innamorato – disse il passerotto. – Notte dopo notte ho cantato di lui, nonostante non lo conoscessi: ho favoleggiato la sua storia alle stelle, e ora lo vedo. Il Principe da un ballo domani sera e la mia amata vi andrà. Se le porterò una rosa rossa ballerà con me fino all’alba. Se le porterò una rosa rossa la terrò fra le mie braccia ed ella piegherà il capo sulla mia spalla, e la mia mano stringerà la sua. Ma non c’è una rosa rossa in tutto il mio giardino, e così io siederò solo, ed ella passerà dinnanzi a me senza fermarsi. Non avrà nessuna cura di me. E il mio cuore si farà a pezzi. - Ecco certamente un vero innamorato – disse il passerotto. – Ciò che io canto, egli lo patisce, ciò che per me è gioia, per lui è pena. Davvero l’Amore è una cosa straordinaria. È più prezioso degli smeraldi e degli splendidi opali. Perle e granati non possono comperarlo, e non è in vendita. Non possono comprarlo i mercanti, né pesarlo le bilance dell’oro. Il passerotto comprendeva il segreto dolore dello Studente, e restava taciturno a pensare sul mistero dell’Amore. D’improvviso distese le sue ali e volò, si librò nell’aria. Passò attraverso il boschetto come un’ombra, e come un’ombra svolazzò sul giardino. Al centro dell’aiuola erbosa s’ergeva un bellissimo Rosaio, e non appena il passerotto lo vide volò sopra di lui e si posò su un ramo. - Dammi una rosa rossa – supplicò – e ti canterò la mia canzone più dolce. - Le mie rose sono rosse – rispose – Ma l’inverno ha ghiacciato le mie vene e il gelo ha dilaniato i miei boccioli, e l’uragano ha spezzato i miei rami, e non avrò più rose quest’anno. - Una sola rosa rossa è tutto ciò che ti chiedo! – urlò il passerotto. – Non c’è proprio nessun sistema per averla? - Un modo c’è – rispose il Rosario – ma è terribile che non ho il coraggio dirtelo. - Dimmelo – implorò il passerotto – io non ho paura.- Se vuoi una rosa rossa – disse il Rosaio – sei costretto a formarla con la musica al lume della luna, e colorarla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me col petto contro una spina. Tutta la notte, e la spina deve trafiggere il tuo cuore, e il tuo sangue vivo deve scendere nelle mie vene e diventare mio. - La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa – si dolse il passerotto – e la vita è così cara a tutti. Ma l’Amore è più prezioso della Vita, e cos’è mai il cuore di un uccellino equiparato al cuore di un uomo? Così piegò le ali nel volo, e si librò nell’aria. Lo Studente era ancora steso nell’erba e il pianto non s’era ancora rasciugato dai suoi occhi. - Sii felice – gli urlò il passerotto. – Sii felice! Avrai la tua rosa rossa! Tutto ciò che ti chiedo in cambio è d’essere un vero innamorato, perché l’Amore è il più giudizioso della Filosofia, per quando saggia essa sia, e il più autorevole del Potere, per quando potente esso sia. Sono color di fiamma le sue ali, color di fiamma è il suo corpo. Le sue labbra sono dolci come il miele, e simile all’incenso è il suo alito. Lo Studente s’alzò, e trasse di tasca un taccuino e una matita. - Questa creatura ha stile. Disse a se stesso – è un fatto che non si può contestare, ma avrà inoltre sentimenti? Ho timore di no. In verità, è come la maggior parte degli esseri tutta forma, nessuna lealtà. Non si offrirebbe in sacrificio per gli altri. Pensa solamente alla musica, e tutti sanno che è egoismo. Bisogna in ogni modo ammettere che ha note incantevoli nella sua voce. Peccato che non significano nulla, e non abbiamo alcun’utilità pratica. E quando la Luna spiccò nei cieli il passerotto volò dal Rosaio, e pose il suo petto contro la spina. Tutta la notte cantò col petto contro la spina, e la fredda Luna di cristallo si chinò ad udirlo. Tutta la notte cantò, e la spina si spingeva sempre più profonda nel suo petto, e il suo sangue fluiva da lui. Prima cantò dell’amore che germoglia nel cuore di un fanciullo e di una fanciulla. E sul ramo più alto del Rosaio fiorì una rosa magnifica, petalo dopo petalo come nota dopo nota. Pallida era in un primo momento, come la nebbia pallida come le orme del mattino, e argentea come le ali dell’alba. - Premi più forte, piccolo passerotto – urlava il Rosario Così il passerotto premette più forte sulla spina, e più forte si fece il suo canto, cantava il venire al mondo della passione nell’anima di un uomo e di una donna. Una tenue striatura rosea si sparse nei petali del fiore. Ma la spina non era giunta al cuore dell’uccellino, e il cuore della rosa restava bianco, perché solo il sangue del cuore di un passerotto può invermigliare il cuore di una rosa. Così il passerotto premette più forte sulla spina, e la spina gli toccò il cuore, e un violento dolore lo trafisse. Più e più penoso era il dolore, e più e più selvaggio si faceva il canto, poiché ora cantava dell’Amore che è reso perfetto dalla Morte, e dell’Amore che non muore nella tomba. E la stupenda rosa diventò vermiglia, vermiglia la fascia dei petali intorno alla corolla, e vermiglio come il rubino era il suo cuore. Ma la voce del passerotto si fece più debole, e le sue ali iniziarono a sbattere, e un velo discese suoi occhi. Più e più debole si fece il suo canto, e qualche cosa lo soffocava in gola come un pianto convulso. Allora proruppe in un ultimo slancio di musica. La rosa rossa lo udì, e fremé tutta d’estasi, e aprì i suoi petali alla fredda aria del mattino. - Guarda! Guarda! – gridò il Rosario – la rosa è perfetta, ora! Ma il passerotto non rispose, perché stava steso morto nell’erba alta, con la spina nel cuore. A mezzogiorno lo Studente aprì la finestra e guardo fuori. - Che sbalorditivo colpo di fortuna! – disse con enfasi. – Una rosa rossa! Non ho mai visto una rosa come questa in tutta la mia vita. È così bella - si sporse e la colse. - Avevate promesso di ballare con me se vi avessi portato una rosa rossa – urlò lo Studente – ecco la rosa più rossa di tutto il mondo. La porterete stasera sul cuore e mentre danzeremo insieme vi dichiarerà quando vi amo. Ma la ragazza corrugò la fronte. - Temo che non sia adattata al mio vestito – rispose – e poi, il nipote del Ciambellano mi ha mandato in dono dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli valgono più dei fiori. - In fede mia, siete davvero un’ingrata! – disse lo Studente in un impeto d’ira; e gettò la rosa giù nella strada. - Che balordaggine è l’Amore! – disse lo Studente andandosene. – Non è utile neppure la metà della Logica, perché non esprime nulla, promette sempre cose che non si concretizzano e fa credere in cose che non sono vere. In effetti, non è per niente pratico, e nel tempo in cui viviamo la praticità è tutto, e così si chiuse dentro nella sua stanza, prese dallo scaffale un vecchio libro polveroso, e si mise a leggere.......