giovedì 24 aprile 2008

ARRIVERA' IL MIO PRINCIPE AZZURRO

C'era una volta una tenera principessina dai capelli dorati, di nome Victoria, fermamente convinta che le favole prima o poi si avverino, e che le principesse siano destinate a vivere per sempre felici e contente.
La piccola credeva nella magia dei desideri, nel trionfo del bene sul male e nell´amore che vince ogni cosa: le sue convinzioni si basavano infatti sulla saggezza delle favole.
Da quanto poteva ricordare, dopo il bagno serale si era sempre rifugiata sotto la soffice trapunta rosa, affondando in un mare di cuscini vaporosi, ad ascoltare la regina che leggeva le storie della buonanotte, incentrate su splendide damigelle in difficoltà. Anche se era vestita di stracci, condannata ad un sonno lungo un centinaio di anni, intrappolata in una torre o vittima di chissà quale macchinazione, la bionda eroina veniva sempre salvata con grande coraggio da un ardito e affascinante Principe Azzurro. La piccola assaporava ogni parola letta dalla madre e, sera dopo sera, si abbandonava al sonno creando lei stessa racconti splendidi e meravigliosi.
"Arriverà il mio Principe Azzurro?" chiese una sera alla regina, spalancando gli occhioni color ambra per la meraviglio e l´innocenza.
"Si cara, un giorno arriverà".
"E sarà grande, forte, coraggioso, bellissimo e affascinante?" volle sapere.
"Ma certo! Sarà come lo sogni, e ancora più incantevole. Sarà la luce della tua vita, la tua ragione di vita, perchè così è scritto nel libro del destino".
"E vivremo sempre felici e contenti, come succede nelle favole?" domandò con aria sognante, chinando la testa di lato e posando la guancia sulle mani intrecciate.
Con un gesto lento e tenero, la sovrana fece scorrere le dita ta i capelli della figlia. "Proprio come nelle favole" le riperè. "Adesso dormi". Dopo averla baciata sulla fronte, se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
(La principessa che credeva nelle favole - Marcia Grad)

UNA NAVE IN PORTO

Un pomeriggio il cuore gli disse che lui era felice: "Anche se ogni tanto mi lamento" diceva il suo cuore "lo faccio perché sono il cuore di un uomo e i cuori degli uomini sono cosi': hanno paura di realizzare i sogni più grandi, perché pensano di non meritarlo, o di non riuscire a raggiungerli.
Noi, cuori, siamo terrorizzati al solo pensiero di amori che sono finiti per sempre, di momenti che avrebbero potuto essere belli e non lo sono stati, di tesori che avrebbero potuto essere scoperti e sono rimasti per sempre nascosti nella sabbia.
Perché, quando cio' accade, noi ne soffriamo intensamente."
"Il mio cuore ha paura di soffrire" disse il ragazzo all'Alchimista, una sera in cui guardavano il cielo senza luna.
"Digli che la paura di soffrire e' assai peggiore della stessa sofferenza.
E che nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni, perché ogni momento di ricerca e' un momento di incontro con Dio e con l'Eternità'".
“Una nave in porto è al sicuro, ma non è per questo che è stata costruita"
(tratti da: L’alchimista e- Il cammino di Santiago di Paulo Coelho )

LE TRE STRADE

All'uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.
Martino lo sapeva perché l'aveva chiesto un po' a tutti, e da tutti aveva avuto la stessa risposta:
- Quella strada lì? Non va in nessun posto. È inutile camminarci.
- E fin dove arriva?
- Non arriva da nessuna parte.
- Ma allora perché l'hanno fatta?
- Non l'ha fatta nessuno, è sempre stata lì.
- Ma nessuno è mai andato a vedere?
- Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c'è niente da vedere...
- Non potete saperlo, se non ci siete stati mai.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fonde era pieno di buche e di erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, così non c'erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una gal-leria oscura e fresca, nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale.
Cammina e cammina, la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi, e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.
«Dove c'è un cane c'è una casa, - riflette Martino, - o per lo meno un uomo».
Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
- Vengo, vengo, - diceva Martino, incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate, e il fumo usciva da tutti i comignoli, e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente:
- Avanti, avanti, Martino Testadura!
-Toh, - si rallegrò Martino, - io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì.
Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l'inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella, e vestita anche meglio delle fate e delle principesse, e in più era proprio allegra e rideva:
- Allora non ci hai creduto.
- A che cosa?
- Alla storia della strada che non andava in nessun posto.
- Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche più posti che strade.
- Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello.
C'erano più di cento saloni, zeppi di tesori d'ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le lo-ro ricchezze. C'erano diamanti, pietre preziose, oro, argento, e ogni momento la bella signora diceva : - Prendi, prendi quello che vuoi. Ti presterò un carretto per portare il peso.
Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il ca-ne, che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.
In paese, dove l'avevano già dato per morto, Mar-tino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici, e dovette raccontare cento volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno corre-va a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l'altro, con la faccia lunga così per il dispetto: la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d'alberi, in un mare di spine. Non c'era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.

(Gianni Rodari - Favole al telefono)

IL PRINCIPE INSENSIBILE

Un principe, insensibile con il suo popolo, morì tra il sollievo generale.
Secondo la tradizione, tra la sua morte e la sua sepoltura dovevano passare alcune settimane e la sua salma, imbalsamata, doveva restare esposta sulla soglia del palazzo perché chi volesse le rendesse onore.
Il corpo del principe se ne stava negletto a nutrire le mosche, quando giunse uno straniero da molto lontano, a giudicare dall'abbigliamento e dalla polvere dei suoi calzari.
Saputo dov'era la salma, la onorò con fumi d'incenso e fiori amaranto. Poi ripartì.
'Sarà un suo lontano parente', mormorò la gente guardandolo male.
Ma il giorno appresso furono tre gli stranieri ad arrivare. E tutti per rendere onore al corpo del principe.
Il popolo, incuriosito, cominciò a interrogarsi, ma non trovando risposte, interrogò i visitatori, i quali ora arrivavano da ogni dove e aumentavano di giorno in giorno.
'A noi, il principe venne in soccorso quando ci fu la più grave carestia', spiegarono alcuni.
'A noi donò la sua corona, quando fummo straziati dalla guerra', dissero altri.
'Da noi venne di persona, quando ci fu il terremoto, ed ebbe una parola d'incoraggiamento per tutti'.
La sorpresa fu enorme. Perché quell'uomo così duro e scontroso era stato magnanimo e gentile con altri?
Tutti si esaminarono e conclusero che, stando così le cose, era stata colpa loro.
'Non l'abbiamo capito né amato; ci ha tenuti lontani perché lo abbiamo tenuto lontano'.
Ma non ci fu uno solo che colse nel segno: il principe aveva agito così perché così gli era piaciuto: fare il bene di nascosto, senza obbligare nessuno alla riconoscenza.
Piero Gribaudi

VERITA'

Un sultano sognò che aveva perso tutti i denti. Al risveglio mandò a chiamare un saggio perchè interpretasse il suo sogno.
"Che disgrazia Mio Signore!" - esclamò il saggio- "Ogni dente caduto rappresenta la perdita di un parente di Sua Maestà."
"Che insolenza!" -gridò il sultano- "Come ti permetti di dirmi simili cose? Fuori di qui!"
Chiamò le guardie e ordinò che gli dessero 100 frustate.
Più tardi ordinò che gli conducessero un altro saggio e gli raccontò il suo sogno.
Questi, dopo aver ascoltato il sultano con attenzione gli disse:
"Eccelso Signore, Grande felicità Vi è stata riservata. Il sogno significa che sopravviverete a tutti i vostri parenti!"
Il viso del Sultano si illuminò con un grande sorriso e ordinò che gli venissero date 100 monete d'oro.
Mentre il saggio stava per uscire dal Palazzo, uno dei cortigiani gli disse ammirato:
"Non è possibile! L'interpretazione che avete dato del sogno è la stessa del primo saggio. Non capisco perchè il primo è stato ripagato con 100 frustate e voi con 100 monete d'oro."
"Ricorda bene amico mio, -rispose il secondo saggio- che tutto dipende dal modo che usi nel dire le cose... Una delle più grandi sfide dell'umanità è apprendere a comunicare; dalla comunicazione dipende, molte volte, la felicità o la disgrazia, la pace o la guerra.
Che la verità debba essere detta in qualunque situazione, non c'è dubbio, ma il modo in cui viene comunicata è ciò che provoca, in certi casi, grandi problemi.
La verità può essere paragonata ad una pietra preziosa. Se la lanciamo contro il viso di qualcuno, può ferire, però se la incartiamo in una carta delicata e la offriamo con tenerezza, certamente sarà accettata con gratitudine
(dal web)

VOGLIO VEDERE LE BALENE PER L'ULTIMA VOLTA

Sarah Weber ha novantasette anni, sa che sta per morire e l’unica cosa che chiede a Dio è che le permetta di tirare fino ad agosto per vedere le balene un’ultima volta. Lei è sicura che verranno a salutarla facendo capriole davanti a casa sua. Gli abitanti dell’isola dicono che Sarah è matta perché non vuole farsi ricoverare in un ospedale nonostante i medici le abbiano promesso di allungarle la vita di altri cinque anni. Sua sorella Libby, due anni più giovane di Sarah, sopravvive da otto mesi in un ospedale e scrive lettere a Sarah pregandola di farsi ricoverare.
“Non mi interessa battere nessun record,” dice Sarah. “Voglio vedere le balene ancora una volta.”
“Ma zia…”
“Niente ma, Harry. Sono forse una tartaruga?”

Il nipote di Sarah ha otto anni e ha scommesso i suoi risparmi con Frank. Frank è il nipote di Amy, un’altra anziana dell’isola. Ognuno dei due ragazzi sostiene che la sua vecchia vivrà più a lungo. Harry ha molta fiducia in Sarah ma i suoi recenti problemi di salute cominciano a preoccuparlo. Con i soldi della scommessa Harry aveva intenzione di comprarsi una serie di pesci colorati. Sarh è cocciuta, Harry le ha detto che se supera i cent’anni sarà inserita in un libro di record e la inviteranno in Giappone per una settimana con tutte le spese pagate, magari le permetteranno persino di conoscere l’imperatore. Sarah è irremovibile.
“Il mondo ti ricorderà per sempre,” dice Harry.
“Me ne infischi del mondo,” dice Sarah.
“Sei una vecchia testarda,” dice Harry.
“E tu un giovane sciocco,” dice Sarah.

Per distogliere Harry dal suo obiettivo, Sarah gli racconta la storia di un uomo che voleva a tutti i costi essere unico. Spinto da questa brama l’uomo si mise
sistematicamente a eliminare tutti gli altri esseri viventi del pianeta. Mille anni dopo aveva concluso la sua opera e poté passeggiare solitario per quel mondo vuoto. C’era una cosa, tuttavia, che lo disturbava: la sua ombra era ancora lì e questo significava che non era ancora unico. L’uomo allora si nascose dietro una
roccia e mentre la sua ombra guardava da un’altra parte le inferse settanta pugnalate. Era felice, finalmente era riuscito a essere unico e assoluto. Purtrop-
po però trascurò le ferite e poco dopo morì di tetano.

In agosto arrivarono le balene e Sarah poté ammirarle in tutto il loro splendore. Quando le balene se ne andarono si incupì. Harry si avvicinò, aveva delle caramelle di menta che diviso con lei. Nonostante le preghiere, Sarah non volle raccontargli nessuna storia.
“Che cos’hai, Sarah?”
“Non lo so, Harry.”
“Le balene le hai viste,” dice Harry con gli occhi umidi. “Era quello che volevi no?”
“Sì, e ringrazio Dio per questo.”
“Allora?”
“Oh, Harry, tesoro, non lo capiresti.”
“Io, lo so che cos’hai, Sarah,” dice Harry asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Lo so e ho paura.”
“Cos’è che sai, tesoro?”
“Per favore, Sarah non piangere.”
“Non sto piangendo.”
Harry la abbraccia e le loro lacrime si mescolano.
“Vuoi vedere le balene un’ultima volta l’anno pros- simo, vero?”
“Sì, tesoro, solo una volta ancora.”
“E so anche come si chiama la tua balena preferita, quella che più desideri vedere.”
I singhiozzi si fanno più forti. Il bambino stringe l’anziana come se temesse di vederla volare via.
“Come si chiama, tesoro?”
“Ha otto anni e si chiama Harry.”

(Efraim Medina Reyes - C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo
)

TROVARE L'ISOLA SCONOSCIUTA

Voglio trovare l’isola sconosciuta, voglio sapere chi sono quando ci sarò.
- Non lo sapete?
- Se non esci da te stesso, non puoi sapere chi sei.
- Il filosofo del re, quando non aveva niente da fare, veniva a sedersi accanto a me, mi guardava rammendare le calze dei paggi, e a volte si metteva a ragionare, diceva che ogni uomo è un’isola, ma io, siccome la cosa non mi riguardava visto che sono una donna, non gli davo importanza, voi che ne pensate?
- Che bisogna allontanarsi dall’isola per vedere l’isola e che non ci vediamo se non ci allontaniamo da noi. (Il racconto dell'isola sconosciuta di Saramago)

martedì 8 aprile 2008

COSE CHE NON SI RECUPERANO

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di ungrande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decisedi comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l'uomo ne prese uno, lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro Tra lei e lei pensò "ma tu guarda se soloavessi un po' più di coraggio gli avrei già dato un pugno..." Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva una anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò "ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!!" L'uomo prima che lei prendesse l'ultimo biscotto lo divise a metà! "Ah, questo è troppo" penso e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose, il libro e lasua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa.
Quando si sentì un po'meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per nonattirare troppo l'attenzione ed evitare altri dispiaceri. Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando.... nell'aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscottiuguale al suo era di quell' uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso osuperiore al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva feritanell'orgoglio.
Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso nonsono come sembrano!!!!Esistono 5 cose nella vita che non si RECUPERANO:Una pietra dopo averla lanciata;Una parola dopo averla detta;Un'opportunità dopo averla persa;Il tempo dopo esser passato;L'amore per chi non lotta.

FELICITA' E DOLORE

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale. A uno dei due era permesso mettersi seduto sul letto per un'ora, ogni pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza. L'altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando all'altro tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto.
Le anatre e i cigni giocavano nell 'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c'era una bella vista della città in lontananza. Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall 'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immagginava la scena.
In un caldo pomeriggio l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla con gli occhi della sua mente, così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane.
Una mattina, l'infermiera di turno portò loro l'acqua e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. L'infermierà diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò opportuno, l'altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L'infermiera acconsenti ben volentieri, e dopo il cambio di letto ed essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto.
Essa si affacciava su un muro bianco
L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori di quella finestra. L'infermiera rispose che il suo amico morto era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. "Forse, voleva farle coraggio." disse.
Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata.

LA MORTE ARRIVERA'

“Certo” disse il gioielliere. “La morte arriverà. Perché farsi sorprendere? Se non è al mercato è a Samarcanda. Conosce la storia?”Quella la conoscevo. L’avevo riletta da poco in Robert Musil. È una vecchia storia dell’Asia centrale, ma feci finta di non saperla per farmela raccontare da lui.Un giorno il Califfo manda il suo Visir a sentire cosa dice la gente al bazar. Quello va e nella folla nota una donna magra e alta, avvolta in una gran mantello nero, che lo guarda fisso. Terrorizzato il Visir scappa via. Corre dal Califfo e lo implora: “Sire, aiutami! Al bazar ho visto la Morte. È venuta per me. Lasciami partire, ti prego. Dammi il tuo migliore cavallo. Con quello, a tappe forzate, stasera sarò in salvo a Samarcanda.”Il Califfo acconsente e fa portare il suo cavallo più veloce. Il Visir balza in sella e galoppa via a spron battuto.Incuriosito, il Califfo va lui stesso al mercato. Nella folla vede la donna dal gran mantello nero e l’avvicina. “Perché hai fatto paura al mio Visir?” le chiede. “Non gli ho neppure parlato”, risponde la Morte. “Ero solo sorpresa di vederlo qui, perché il nostro appuntamento è stasera a Samarcanda”
...
(Da “Un altro giro di giostra” di Tiziano Terzani.)

LA DONNA PERFETTA

Nasrudin conversava con un amico.'Allora, mullah, hai mai pensato al matrimonio?''Ci ho pensato,' rispose Nasrudin. 'Quando ero giovane, decisi di conoscere la donna perfetta. Attraversai il deserto, arrivai a Damasco e conobbi una donna spirituale e bellissima; ma non sapeva niente delle cose del mondo. 'Continuai il viaggio e mi recai a Isfahan; là incontrai una donna che conosceva il regno della materia e dello spirito, ma non era bella. Allora decisi di andare fino al Cairo, dove cenai a casa di una giovane donna, bella, religiosa ed esperta della realtà materiale.' 'E perché non l'hai sposata?''Ah, caro compagno, purtroppo, anche lei cercava un uomo perfetto!'
(La donna perfetta di Paulo Coelho )

PRENDIMI LA MANO

Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. 'Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?'.'Prendimi la mano' rispose il bambino.
(Bruno Ferrero)

AMICO

Una mattina, il grande condottiero mongolo Gengis Khan e la sua corte partirono per una battuta di caccia.I compagni portarono archi e frecce; lui, invece, teneva sul braccio il suo falco preferito - migliore e più preciso di qualsiasi dardo, giacchè poteva levarsi alto nel cielo e scorgere tutto ciò che un essere umano non avrebbe mai potuto vedere.Ma, nonostante l’entusiasmo che animava il gruppo, non riuscirono a catturare nemmeno una preda. Mentre facevano ritorno all’accampamento, Gengis Khan - deluso - si separò dalla comitiva, scegliendo di procedere da solo, per non scaricare la propria frustazione sui compagni.
Si erano trattenuti nella foresta più di quanto avessero previsto, e il grande condottiero era terribilmente stanco ed assetato. A causa della calura estiva, i torrenti erano in secca, e questo gli rendeva impossibile dissetarsi. Finalmente, gli apparve una sorta di miracolo: un filo d’acqua che scendeva da una roccia proprio di fronte a lui.
Subito allontanò il falco dal braccio, prese il piccolo calice d’argento che portava sempre con se e lo riempì lentamente. Quando stava per portarlo alle labbra, il falco spiccò il volo e glielo strappò dalle mani, facendolo rotolare lontano.
Gensis Khan s’infuriò, ma quello era il suo animale preferito, e forse aveva una gran sete pure lui. Così raccolse il calice, lo ripulì dal terriccio e lo riempì di nuovo. Quando fu mezzo pieno, il falco scagliò un altro attacco, facendo rovesciare il liquido.
Gengis Khan adorava quell’animale, ma sapeva di non poter permettere che gli mancasse di rispetto, in nessuna circostanza: qualcuno avrebbe potuto assistere a quella scena da lontano, una persona che in seguito si sarebbe magari presa la briga di raccontare ai suoi guerrieri che il grande conquistatore non era in grado di domare neppure un uccello.
Allora sguainò la spada che portava alla cintura, afferrò il calice e ricominciò a riempirlo, con un occhio alla fonte e l’altro al falco. Quando l’acqua raggiunse quasi l’orlo del bicchiere, mentre si accingeva a bere, il falco si levò in volo e si diresse verso di lui. Con un colpo secco, Gensis Khan gli trafisse il petto.
Adesso il filo d’acqua si era prosciugato. Deciso a placare la sua sete, il grande condottiero si arrampicò sulla roccia in cerca della fonte. Con grande sorpresa, scoprì una pozza d’acqua, ma dentro di essa vide un serpente morto, uno dei più velenosi di quella zona. Se avesse bevuto, in quel momento non sarebbe più stato nel mondo dei vivi.
Gensis Khan tornò all’accampamento con il falco morto tra le braccia. Ordinò una scultura in oro dell’uccello e, su una delle ali, fece incidere queste parole:
” Anche quando un amico fa qualche cosa che non ti piace, continua ad essergli amico.”
Sull’altra, dispose che fosse scritto:
” Qualsiasi azione motivata dalla furia è un’azione votata al fallimento.”
(Da: ” Sono come il fiume che scorre” di P. Coelho)

TUTTI HANNO BISOGNO DI TE

C'è una favola che narra di una povera orfanella che non aveva nessuno che le volesse bene.Un giorno, sentendosi particolarmente triste e sola, si mise a camminare per i boschi e vide una bellissima farfalla imprigionata in un rovo.Più la farfalla si dibatteva per conquistare la libertà e più le spine si conficcavano nel suo fragile corpo. La giovane orfanella con delicatezza riuscì a liberarla.Invece di volare via, la farfalla si tramutò in una bellissima fata.La ragazzina si sfregò gli occhi perchè pensava fosse un allucinazione."Per ricompensarti della tua bontà", disse la fatina buona, "Esaudirò qualunque tuo desiderio".La ragazzina si fermò un attimo a riflettere e poi disse: "Voglio essere felice!"La fata rispose:"molto bene!" Si chinò su di lei e le sussurrò qualcosa all’ orecchio. Poi svanì.La ragazzina, divenuta ormai grande, appariva felice come nessun altro sulla terra.Tutti le chiedevano il segreto di questa felicità, ma lei si limitava a sorridere e rispondeva:"Il segreto della mia felicità consiste nell’aver dato ascolto ad una fatina buona quando ero piccola".Divenuta vecchia e sul punto d morte, i vicini le si fecero attorno, temendo che il segreto della felicità svanisse con lei."Per piacere",la pregarono, "Rivelaci ciò che ti ha detto la fatina buona"La cortese vecchietta sorrise ed esclamò:"Mi disse che tutti, per quanto sicuri di sè, non importa se giovani o vecchi, ricchi o poveri, hanno bisogno di me"...
(dal web)

MAESTRO E DISCEPOLI

Coerentemente con la sua dottrina che niente dovesse essere preso troppo seriamente, neppure i suoi insegnamenti, il maestro amava raccontare questa storia su se stesso:'Il mio primo discepolo era così debole che gli esercizi lo uccisero. Il mio secondo discepolo divenne pazzo per la serietà con cui praticava gli esercizi che gli impartivo. Il mio terzo discepolo ha intorpidito il proprio intelletto per la troppa contemplazione. Ma il quarto è riuscito a conservare il suo equilibrio'.'Come mai ?', chiedeva invariabilmente qualcuno. 'Forse perché è stato l’unico che si è rifiutato di fare gli esercizi'. Le parole del maestro erano soffocate da scoppi di risa.
Wolfgang Goethe

APPARENZE

Un principe, insensibile con il suo popolo, morì tra il sollievo generale.Secondo la tradizione, tra la sua morte e la sua sepoltura dovevano passare alcune settimane e la sua salma, imbalsamata, doveva restare esposta sulla soglia del palazzo perché chi volesse le rendesse onore.Il corpo del principe se ne stava negletto a nutrire le mosche, quando giunse uno straniero da molto lontano, a giudicare dall'abbigliamento e dalla polvere dei suoi calzari.Saputo dov'era la salma, la onorò con fumi d'incenso e fiori amaranto. Poi ripartì.'Sarà un suo lontano parente', mormorò la gente guardandolo male.Ma il giorno appresso furono tre gli stranieri ad arrivare. E tutti per rendere onore al corpo del principe.Il popolo, incuriosito, cominciò a interrogarsi, ma non trovando risposte, interrogò i visitatori, i quali ora arrivavano da ogni dove e aumentavano di giorno in giorno.'A noi, il principe venne in soccorso quando ci fu la più grave carestia', spiegarono alcuni.'A noi donò la sua corona, quando fummo straziati dalla guerra', dissero altri.'Da noi venne di persona, quando ci fu il terremoto, ed ebbe una parola d'incoraggiamento per tutti'.La sorpresa fu enorme. Perché quell'uomo così duro e scontroso era stato magnanimo e gentile con altri?Tutti si esaminarono e conclusero che, stando così le cose, era stata colpa loro.'Non l'abbiamo capito né amato; ci ha tenuti lontani perché lo abbiamo tenuto lontano'.Ma non ci fu uno solo che colse nel segno: il principe aveva agito così perché così gli era piaciuto: fare il bene di nascosto, senza obbligare nessuno alla riconoscenza.
Piero Gribaudi

AMORE FINO ALLA FINE

I cigni neri volarono più in alto che poterono: erano quattro, in formazione, coi colli allungati, in rotta verso sud, il rombo degli aerei sopra di loro all'alba.Uno scoppio d'artiglieria e il cigno a capo dello stormo ebbe un sussulto e cominciò a precipitare, con gli altri uccelli che volteggiavano in discesa, perdendo quota in grandi cerchi. Il cigno ferito si abbattè pesantemente in un campo aperto e non si mosse. La sua compagna gli atterrò accanto, lo colpì con il becco, gli girò intorno con grandi strida.Ma non si mosse. Una raffica di colpi eccheggiò nel campo e si vide la fanteria russa muoversi tra gli alberi al limitare del prato. Un Panzer tedesco oltrepassò un fosso e si avvicinò attraverso il prato, puntando il cannone tra gli alberi. Il cigno aprì le ali e rimase sul terreno sopra il compagno, anche se il carro armato era più largo delle sue ali ben distese e benchè il motore facesse più rumore del suo cuore che batteva all'impazzata. Rimase sul compagno sibilando, colpendo fino all'ultimo il carro con il battere delle sue ali, finchè il Panzer passò sopra di loro, indifferente, trascinandosi dietro una poltiglia di carne e piume.
-Hannibal Lecter- Thomas Harris

TU SEI CIO' CHE AMI

– Ci troveranno.– Io non credo.– Non voglio morire, Donald. Ho sprecato la mia vita, Dio, l’ho sprecata.– Non è vero. E non morirai.– L’ho sprecata. Io ti ammiro, Donald, lo sai? Ho passato tutta la vita paralizzato, preoccupato di ciò che la gente pensa di me, invece tu, tu sei noncurante.– Non sono noncurante.– No. Non hai capito. Voleva essere un complimento. (pausa)– Ci fu una volta, al liceo, io ti guardavo dalla finestra della biblioteca. Tu parlavi con Sarah Marsh.– Oh si, ero pazzo di lei.– Lo so e… e… e flirtavi con lei; e lei era carina con te.– Si, me lo ricordo.– E poi, quando tu te ne andasti; lei si mise a prenderti in giro con Kim Canetti. Ed era… come se… ridessero di me. Tu non… non ne sapevi niente. Sembravi felice e contento.– Io sapevo. Li avevo sentiti.– Allora c… come mai eri così felice?– Io amavo Sarah, Charles. Era mio… quell’amore. Lo possedevo. Nemmeno Sarah aveva il diritto di portarmelo via. Io posso amare chi voglio.– Ma per lei tu eri patetico.– Ah… beh… quello era un problema suo, mica mio! Tu sei ciò che ami, non ciò che ama te. Questo l’ho capito molto tempo fa. (piange)– Che cos’hai?– Grazie– Per cosa?
Da "Il ladro di orchidee" Charles e Donald Kaufman

IL DIFETTO

Che fai?- mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.-Niente,- le risposi,- mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino. Mia moglie sorrise e disse:-Credevo ti guardassi da che parte ti pende.Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato una coda:-Mi pende? A me? Il naso?E mia moglie placidamente:-Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.
Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altri parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.
(UNO NESSUNO CENTOMILA - LUIGI PIRANDELLO)

I TRE PESCI

C'erano una volta tre pesci che vivevano in uno stagno:uno era intelligente, un altro lo era a metà e il terzo era stupido. La loro vita era quella di tutti i pesci di questo mondo, finchè un giorno arrivò ...un uomo.L'uomo portava una rete e il pesce intelligentelo vide attraverso l'acqua. Facendo appelloall'esperienza, alle storie che aveva sentito e alla propria intelligenza, il pescedecise di passare all'azione."Dato che ci sono pochi posti dove nascondersi in questo stagno, farò finta di essere morto",pensò. Raccolte tutte le sue forze, balzò fuoridall'acqua e atterrò ai piedi del pescatore,che si mostrò piuttosto sorpreso.Tuttavia, visto che il pesce tratteneva il respiro,l'uomo lo credette morto e lo ributtò nello stagno. Allora il nostro pesce si lasciò scivolare inuna piccola cavità sotto la riva.Il secondo pesce, quello semintelligente, non aveva capito bene quanto era accaduto.Raggiunse quindi il pesce intelligente per chiedergli spiegazioni. "è semplice", disse il pesce intelligente, "ho fatto fintadi essere morto e così mi ha ributtato in acqua".Immediatamente, il pesce semintelligente balzò fuori dall'acqua e cadde ai piedi del pescatore."Strano", pensò il pescatore, "tutti questi pesciche saltano fuori dappertutto!". Ma il pesce semintelligente si era dimenticato di trattenere il respiro, così il pescatore si accorse che era vivo e lo mise nel suo secchio. Riprese quindia scrutare la superficie dell'acqua, ma lo spettacolo di quei pesci che atterravano sulla riva, ai suoi piedi,lo aveva in qualche modo turbato, sicchè si dimenticò di chiudere il secchio.Quando il pesce semintelligente se ne accorse,riuscì faticosamente a scivolare fuori ea riguadagnare lo stagno a piccoli salti. Andò a raggiungere il primo pesce e, ansimando,si nascose accanto a lui.Ora, il terzo pesce, quello stupido, non era naturalmente in grado di trarre vantaggio daglieventi, neanche dopo aver ascoltato il raccontodel primo e del secondo pesce. Allora riesaminarono ogni dettaglio con lui, sottolineando l'importanza di non respirare quando si finge di essere morti."Molte grazie, adesso ho capito!"; disse il pesce stupido, e con quelle parole si lanciò fuori dall'acqua e andò ad atterrare proprio accanto al pescatore.Ora,il pescatore, che aveva già persodue pesci, lo mise subito nel secchio senza preoccuparsi di verificare se respirava o no.Poi lanciò ancora ripetutamente la sua retenello stagno, ma i primi due pesci erano ormaial sicuro nella cavità sotto la riva.E questa volta il suo secchio era ben chiuso.Il pescatore finì per rinunciare. Aprì il secchio, si accorse che il pesce stupido non respirava, lo portò a casa e lo diede da mangiare al gatto.
(favola araba)

LE MERAVIGLIE

Una maestra chiede ad un gruppo di alunni:
Fatemi la lista che pensate siano le 7 meraviglie del mondo di oggi.
La maggior parte degli alunni risponde.
1. Le piramidi d'Egitto.............
2.il Tai Mahal..........................
3.Il Grande Canyon................
4.Il Canale di Panama..............
5.La Grande muraglia cinese...
6.La Basilica di San Pietro.......
7.L'Empire State Building........
Dopo aver raccolto le risposte,la maestra si accorge che un'alunna non ha consegnato il suo foglio.
La maestra chiede come mai.....E la bambina risponde che è indecisa,perchè ce ne sono tante.
Dinne qualcuna, la incalza.
La bambina dopo un pò di esitazione dice:
-Per me le 7 meraviglie del mondo sono...
1.Il Tatto.............
2.Il Gusto............
3.L'Udito.............
4.La Vista............
5.Il Sorriso...........
6.L'Amore............
7.I Sentimenti........
In classe si fece un silenzio, che se volava un moscerino si sarebbe sentito.
Tutte queste cose che non notiamo più , perchè sono così semplici e ordinarie, sono in realtà delle MERAVIGLIE.
(J.Dauth)

DOV'E' L'AMORE

Sulle sponde di un lago incantato,viveva una ninfa solitaria e tenebrosa. Intorno a lei vi era un paradiso di profumi, colori, suoni, ma la giovinetta non era felice.
Il suo cruccio più grande, era quello di non avere un amore tutto per sé, e questo la rendeva un essere bisbetico e intrattabile agli occhi di tutti gli altri abitanti del lago.
Ogni giorno lambiva leggiadra le schiume sull’acqua, alla ricerca di un uomo che l’avrebbe amata come una regina, ma niente.
Guardava in alto, indietro, avanti e persino sul fondo dello specchio d’acqua, ma riusciva a scorgere solo la solita melma grigia senza vita.

Allora cominciò a invocare insistentemente gli dei del cielo:
“ O Signori gloriosi della luce,fate che anch’io abbia un amore e sarò la ninfa più felice del lago!”
Gli dei porsero l’orecchio alle sue lamentose preghiere e alfine le chiesero:
“ Sei proprio sicura di desiderare un amore?”
“Si, lo sono!” rispose la fanciulla.” E sei proprio certa di non averne già uno in fondo al tuo cuore?”
“ Vi ho guardato bene, ma non ho trovato nulla.”
“ E credi veramente che un uomo possa darti la gioia che cerchi?”
“ Sì, lo credo!”
Allora le divinità sospirarono mestamente e, scagliando un raggio di luce sulle acque, tuonarono: Sia come tu desideri!”

In pochi istanti comparve sullo specchio del lago l’immagine di un uomo sorridente,dalle sembianze regali e dagli occhi trasparenti come smeraldi.Ammaliata dal suo sorriso e splendore, la ninfa esclamò:
“O Padri del firmamento! E’ un incanto! E’ un sogno!E’ come l’ho sempre desiderato! Immensa sia la mia benedizione verso il cielo!”

Da quel momento, la giovane ninfa prese a interrogare il suo principe sorridente dallo sguardo fatato:
“ Mi ami?”
“ Ti amo.”
“ Mi comprendi?”
“ Ti comprendo.”
“Mi desideri?”
“ Ti desidero.”
La fanciulla si sentì felice.

Il giorno seguente ricominciò a chiedere al suo amore:
“ Mi ami?”
“ Ti amo.”
“ Mi comprendi?”
“ Ti comprendo.”
“ Mi desideri?”
“ Ti desidero.”
E fu ancora felice.

Per lungo tempo la giovane donna fece all’uomo le stesse domande, ricevendo le stesse risposte e in cuor suo meditava:
“ Davvero costui mi ama con certezza!”
Ma un bel giorno, anzi brutto per la verità, riflettendo tra sé e sé, avvertiva una strana inquietudine:
“ Come può questo essere bello come un dio, amarmi con tale sicurezza? Lo metterò alla prova!”

Così,dopo avergli chiesto ancora una volta se lui l’amasse, aggiunse una domanda:
“ Se davvero mi ami come dici, come puoi dimostrarmi il tuo amore? Dammi una prova.”
Allora, per la prima volta, l’uomo tacque.
“ Non hai parole per dimostrarmi il tuo amore?Sei un Re, fallo!”
Ma l’immagine dell’uomo taceva,e più la giovane insisteva, più l’uomo taceva.
“ Parla, dunque! Di’ qualcosa! Impreca, ma parla!”

Sospirando,l’uomo cominciò:
“ Mi hai chiesto se ti amassi e ti ho risposto di sì, mi hai chiesto se ti comprendessi e ti ho risposto ancora sì, mi hai chiesto se provassi desiderio per te e ancora sì, ma non mi hai mai chiesto chi fossi veramente.
Io sono l’immagine che gli Dei hanno creato a tua somiglianza, e altro non posso essere se non il riflesso dei tuoi desideri e delle tue illusioni. Quel che tu cerchi e non vedi, non posso dartelo, perché neanche io lo cerco e lo vedo. Sono la tua immagine, ricorda!”

A quelle parole rivelatrici,la ninfa piena d’ira urlò:
“ Che tu sia maledetto! Scompari dalla mia vista! Il tuo amore si è rivelato fasullo come le tue parole! Allontanati da me, essere senz’anima!”
E così dicendo, lanciò in acqua un sasso che colpì l’immagine e la frantumò in mille schizzi. Ogni schizzo diventò un eco “ Sono la tua immagine, ricorda…” ma la figura scomparve e non tornò mai più indietro.
La Fanciulla, ferita, pianse a lungo e prese a gridare contro il cielo:
“ O dei del tempo, quanto crudeli siete stati verso di me! Vi ho chiesto un amore vero e mi avete dato solo un’illusione!”

Le lacrime sgorgavano copiose e cadevano nelle acque come perle, e mentre si fondevano con esse,la ninfa osservò più attentamente quel lago che le era sempre parso noioso e senza vita.
Notò la trasparenza delle sue acque,e le increspature delle sue correnti che disegnavano magici arabeschi fulgidi di luce. Osservò i riflessi dorati del sole mollemente adagiati sul fondo, e per la prima volta si avvide dei colori, delle sfumature e di ogni sorta di forma di vita che pullulava in quel lago. Si meravigliò di vedere intorno a sé, frutti, piante, e un rigoglio d’insetti e farfalle che giocavano danzando sulla melodia ritmata della vita.
Di notte,si sedeva sulle rive ad ascoltare la gioiosa cantilena della natura e ammirare il nascondino dei pallidi riflessi lunari su quelle acque e,a poco a poco, quell’armonia le penetrò nell’animo e la fece sentire un tutt’uno con essa .E si amò, per la prima volta,si amò intensamente.

Allora comprese la lezione degli dei:
“ Come ho potuto credere di trovare l’amore fuori di me?Esso era dentro di me e non l’ho mai cercato.”
Da quel giorno, la ninfa divenne un’altra persona, fu gioiosa e serena e presero ad amarla anche tutti gli altri esseri del lago.
Poi, una sera, rivolse lo sguardo al cielo e ringraziò i suoi padri, per averle mostrato la vera via della pienezza,e custodì per sempre nello scrigno più nascosto del suo cuore, il segreto della vera felicità che la solitudine le aveva insegnato.
(dal web)

PADRE E FIGLIO

"Nella sala del monastero di Pedralbes, a Barcellona - uno dei grandi monumenti del gotico catalano - che ospita una sezione della collezione Thyssen-Bornemisza, si nota, fra i poco numerosi visitatori, una coppia di padre e figlio. Il primo è un lindo signore di circa settantacinque anni, piccolo di statura e dall'aria tranquilla, e conduce per mano l'altro, evidentemente affetto dalla sindrome di Down ovvero, come si usa impropriamente dire, un mongoloide.
I due, davanti a me, si fermano di fronte a ogni quadro e il padre spiega al figlio, sempre tenendolo per mano, la Vergine dell'umiltà del Beato Angelico, tema prediletto degli ordini mendicanti, l'ombra da cui esce il Ritratto di Antonio Anselmi di Tiziano, il canarino che scappa dalla sua gabbia nel Ritratto di una dama di Pietro Longhi. Il figlio sta a sentire, accenna con la testa, mormora ogni tanto qualcosa; può avere quaranta o cinquant'anni, ma ha soprattutto l'età indefinibile di un bambino avvizzito. Il padre gli parla, lo ascolta, gli risponde; probabilmente è da una vita che fa questo e non sembra né stanco né angosciato, ma compiaciuto di insegnare al figlio ad amare i Maestri.
Giunto davanti al Ritratto di Marianna d'Austria, regina di Spagna, si china per leggere il nome dell'autore, poi si rizza di scatto e, rivolgendosi al figlio, gli dice, in un tono di voce un po' alto: «Velásquez!» e si toglie il cappello, alzandolo il più possibile. La croce che, con la minorazione del figlio, gli è stata gettata addosso da un'ingiustizia imperdonabile non ha curvato le sue spalle, non lo ha piegato né incattivito, non gli ha tolto la gioia di riconoscere la grandezza, renderle omaggio e farne partecipe la persona per la quale verosimilmente vive, suo figlio. Spesso il dolore stronca, inacidisce, spinge comprensibilmente a negare ciò che altri, ai quali la sorte è stata prodiga di doni, sono riusciti a creare ottenendo gloria nel mondo; soprattutto una pena che costringe all'ombra, come quella minorazione, rende difficile rallegrarsi e godere dello splendore raggiunto da un altro. Quel gesto rispettoso e festoso di togliersi il cappello è un gesto regale e lo è ancor più l'evidente piacere col quale il vecchio comunica il suo entusiasmo al figlio. Quell'amore paterno e filiale fa sì che quelle due persone si bastino, come si basta l'amore. E' davanti a quell'uomo, che senza saperlo è divenuto per me un piccolo maestro, che c'è da togliersi il cappello".
19 marzo 1996
Claudio Magris, L'infinito viaggiare

PORTARE VIA

Pola Bonilla modellava argilla per i bambini: Aveva una buona mano come ceramista ed era maestra di scuola nelle campagne di Maldonado:D'estate offriva ai turisti il suo vasellame e la cioccolata con le frittelle.Pola adottò un negretto nato nella povertà , dei molti che vengono al mondo senza una briciola da mangiare, e lo allevò come figlio suo. Quando lei morì, lui era già un uomo fatto e con un mestiere:Allora i parenti di Pola gli dissero : - Entra in casa e portati via quello che vuoi -Lui uscì con la foto di lei sotto il braccio e se ne andò via lontano.
Eduardo GaleanoLas palabras andantes

DARE AGLI ALTRI

Un agricoltore, il cui grano vinceva sempre il primo premio alla fiera regionale, aveva l'abitudine di dividere i semi migliori con tutti i contadini del vicinato. Quando gli chiesero perche', egli rispose: ". Il vento solleva il polline e lo trasporta da un campo all'altro. Percio` se i miei vicini coltivassero un grano di qualita` inferiore, l'impollinazione crociata impoverirebbe la qualita` del mio raccolto. Ecco perche' ci tengo che essi piantino solo i semi migliori". Tutto cio` che diamo agli altri lo diamo a noi stessi.
(da LA PREGHIERA DELLA RANA di Anthony De Mello)

IL MIO CUORE E' GIA' ARRIVATO

Un vecchio pellegrino percorreva nel cuore dell'inverno il cammino che porta alle montagne dell'Himalaya, quando cominciò a piovere.Il custode della locanda gli disse: "Come farai, buon uomo, ad arrivare fin lassùcon questo tempaccio?"Il vecchio rispose allegramente: "Il mio cuore è già arrivato, seguirlo è facile per l'altra parte di me".
dal libro "La preghiera della rana 1" di A. De Mello

I DUBBI

Due esploratori decisero di partire alla scoperta del nuovo mondo. Erano pieni di ambizione e desiderosi di avventura, quindi partirono entrambi dallo stesso porto lo stesso giorno. Così non è importante cosa ne pensa la numerologia, perché il giorno era uguale per tutti e due e non importa neppure come erano allineati i pianeti, perché erano gli stessi. Il primo esploratore si chiamava Chris ed il secondo Mark. Chris e Mark partirono con lo stesso tipo di barca, lo stesso numero di componenti dell'equipaggio, le stesse provviste a bordo. Nessuno dei due sapeva esattamente dove sarebbero andati, poiché si trattava del nuovo mondo e nessuno l'aveva visitato prima, ma entrambi sapevano che avrebbero trovato questi nuovi territori e affrontato nuove avventure per ottenere scoperte trionfanti, ognuno per sé. Salparono esattamente nello stesso momento e l'unica differenza era un singolo oggetto del carico che si trovava sulla barca di Chris, ma non su quella di Mark. Nell'area di stoccaggio della barca di Chris c'era una scatola. Si trattava di una scatola dall'aspetto piuttosto semplice, ma il cui contenuto era molto, molto potente e sarebbe stato tirato fuori dalla scatola ed utilizzato durante tutto il viaggio di Chris. Ciò che quella scatola conteneva erano i Dubbi. Dubbi. E così salparono nello stesso momento dello stesso giorno . Mark partì per la sua avventura con questo equipaggio e poco dopo aver lasciato il porto si ritrovò nel bel mezzo di una tempesta. Ma invece di chiedersi perché quella tempesta era lì, invece di chiedersi ciò che lo Spirito stava cercando di dirgli, invece di andare in panico e chiedersi per quale ragione si trovava a fare quel viaggio, Mark disse, “C’è una tempesta. La sento, la barca la percepisce. Gli uomini la sentono e staranno tutti male. C'è una tempesta e la tempesta è semplicemente energia. Io non possiedo la tempesta ma la sento, la vivo e cavalco le onde e quella tempesta mi porterà dove ho scelto di andare. Anche se pensavo di andare in una certa direzione, io so che l’energia della tempesta lavorerà per me e mi porterà verso le più grandi possibilità tra tutte quelle disponibili.” E Mark partì per il suo viaggio con il suo equipaggio e insieme incontrarono ogni tipo di cosa - tempeste, bonaccia - eppure non avevano alcun dubbio, vedete. Fecero l'esperienza fino in fondo e scoprirono nuovi territori, trovarono spezie e piante esotiche e addirittura persone ed animali che non erano mai stati conosciuti prima. Fu un'esperienza fantastica e si godettero ogni singolo passaggio. Dopo due anni di viaggi ed esperienze rientrarono a casa più ricchi, più felici e più soddisfatti, avendo vissuto veramente. Chris partì con la nave - la nave con un carico di dubbi - e nel momento in cui si trovò di fronte la tempesta, si chiese per quale ragione era partito. Questo dubbio lo allontanò dall'esperienza, perché in quel momento le onde erano i demoni che stavano cercando di portargli via qualcosa e di ucciderlo, mentre in effetti le onde e le tempeste facevano semplicemente parte dell'esperienza. Chris modificò subito la rotta, perché sentì immediatamente di aver fatto qualcosa di sbagliato, altrimenti come mai aveva guidato sé stesso e l'equipaggio dritto dentro la tempesta? Per questa ragione modificò la sua rotta. Per tutto il tempo si preoccupò di questo e le sue preoccupazioni vennero percepite dai membri dell'equipaggio, che cominciarono a stare male, ma non solo per un momento, si ammalarono seriamente e cominciarono a morire. La barca di Chris aveva preso una rotta molto, molto difficile e non riuscì mai a scoprire nuovi grandi territori, non trovò mai spezie né oro. Ogni volta che attraccava in qualche luogo scopriva che i nativi, le persone che abitavano le isole o le terre, erano ostili ed arrabbiati e lo contrastavano. Sempre più membri dell'equipaggio morivano di fame e si ammalavano e dopo un solo anno Chris ritornò a casa dopo aver fallito, triste, privo di qualsiasi luce ed espressione sul viso. Alcuni lo presero in giro, mentre molti altri si arrabbiarono molto, davvero molto con lui perché avevano perso i loro cari sulla sua barca. E questa è la differenza tra il dubbio e la scoperta trionfante. Il dubbio. (dal web)

IL RICCO ED IL POVERO

Un povero si presentò ad un ricco per chiedere l’elemosina di un pezzo di pane. Il ricco non solo non gli diede nulla, ma visto che il povero non se ne andava, montò in collera, prese un sasso e glielo scagliò contro.Questi raccolse il sasso e se lo mise in tasca, dicendo: “Porterò con me questo sasso, finché non giungerà l’ora in cui potrò scagliarlo contro il ricco”.Passò tutta la vita con quel peso, con quella pietra in tasca e nel cuore.Finalmente giunse l’ora di scagliarla. Il ricco, avendo commesso un delitto, fu spogliato di tutti i suoi beni e condotto in prigione. Quel giorno il povero si trovò proprio sulla strada della prigione. Vide colui che era stato ricco, ammanettato. Si fece avanti, si tolse di tasca la pietra e, finalmente, alzò il braccio per lanciarla. Ma non ebbe il coraggio e la lasciò cadere a terra, dicendo tra sé: “Poveraccio! Era ricco e prepotente, ma ora mi fa pena. Perché ho portato per tanto tempo questo sasso? Proprio per nulla!”.
(Bruno Ferrero)